A chi di noi non capita di rifornire il guardaroba con capi ‘fast fashion’, trendy e cheap acquistati solo per il gusto di avere qualcosa di nuovo, da poter sostituire la stagione seguente, perché tanto ‘sono costati poco’?
In tutto il mondo dilaga ormai da anni questa terribile abitudine, e le grandi produzioni di massa immettono sul mercato milioni di capi indirizzati ad altrettanti milioni di acquirenti. E ci siamo mai chiesti perché li paghiamo così poco? La spiegazione risiede innanzitutto nella scarsissima qualità dei materiali, realizzati quasi esclusivamente in plastica, tinti con colori a basso costo e spesso tossici per la pelle, cuciti, filati o rifiniti in maniera approssimativa, motivo per cui ci può capitare di perdere facilmente un bottone, nonché vederci scucire un orlo o una cucitura. Inoltre c’è un’altra ragione, assai più seria: i paesi che producono questi capi sfruttano la manodopera pagando misere cifre per strazianti orari di lavoro prevalentemente a donne e bambini.
Questo meccanismo, compra-getta via-compra, sta generando tonnellate di rifiuti divenuti assai difficile smaltire, che stanno provocando ulteriore inquinamento al nostro pianeta, sia per l’immensa quantità di capi, sia per il tipo di materiali impiegati (plastica!), tanto da essere arrivati a dovervi porre rimedio. E’ iniziata una vera e propria battaglia contro il fast-fashion, con diverse campagne di sensibilizzazione ambientale verso i consumatori, al fine quantomeno di arginare il fenomeno, invitando la popolazione a ‘sprecare di meno’. Da qui la nascita di diverse app come ad esempio Vinted o Depop, attraverso le quali si può rivendere ed acquistare articoli dismessi.
Se da un lato si cerca di contrastare la ‘moda veloce’, dall’altro si incoraggia ad acquistare appunto il second-hand e, per i più sofisticati, il Vintage, che in questi ultimi anni ha letteralmente ‘spopolato’ nell’ambito del settore Moda, divenendo uno dei più ingenti business del globo. Si possono acquistare abiti e oggetti vintage a partire dai siti online, dai numerosi mercatini ai negozietti fino alle vere e proprie boutique vintage, come Vintachic, a Roma, da anni nel settore, che propone abiti da sposa, sera e cocktail di altissimo livello, a partire dagli inizi del ‘900 fino agli anni ’90.
Alla base della scelta di acquistare vintage c’è sicuramente il desiderio di distinguersi, oggi assai difficile a causa di una moda globalizzata e scadente: indossando un capo unico, di qualità, che rimanga nel tempo e non passi di moda negli anni, ma che anzi, acquisterà valore, gioverà sicuramente al nostro look e alla nostra personalità. E, non da meno, consapevolmente o no, comprare vintage significa inevitabilmente alimentare l’economia circolare, generando un riciclo di articoli già esistenti, limitando l’inquinamento.
Anche i Big della Moda ultimamente hanno aperto sezioni dedicate al vintage: dal portale Gucci Vault, che mette in vendita pezzi storici del marchio, si passa a Valentino, con Pierpaolo Piccioli che ha introdotto il progetto Valentino Archive, facendo indossare alla modella Zendaya capi vintage accuratamente selezionati degli anni ’60 e ’70. Anche Jean Paul Gautier ha lanciato online l’archivio delle collezioni precedenti.
Siete pronti anche voi a fare shopping sostenibile? Un consiglio: se comprate online, ricordate di controllare sempre le recensioni dei clienti per individuare i seller affidabili e, se acquistate vestiti, non dimenticate di chiedere sempre le misure di spalle, seno, vita, fianchi, maniche e lunghezza dei pantaloni: le taglie del passato non coincidono quasi mai con quelle attuali.